Sentenza n. 239 del 1983

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SENTENZA N. 239

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 6, 14 e 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili) e dell'art. 6 dello stesso d.P.R. in relazione all'art. 6 della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (legge di delegazione), promossi con le ordinanze emesse dalla Commissione tributaria di primo grado di Pisa il 21 novembre 1977 (due ordinanze), il 29 gennaio 1979 (due ordinanze) e il 13 novembre 1978, dalla Commissione tributaria di primo grado di Imperia il 15 marzo 1979 (tre ordinanze), dalla Commissione tributaria di primo grado di Padova il 21 febbraio 1979, dalla Commissione tributaria di secondo grado di Belluno 1'8 ottobre 1980, dalla Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara il 15 giugno 1981, dalla Commissione tributaria di primo grado di Mondovì il 13 novembre 1981 e dalla Commissione tributaria di primo grado di Firenze il 21 giugno 1982, rispettivamente iscritte ai nn. 240 e 241 del registro ordinanze 1978, ai nn. 535, 536, 538, 563, 564 e 565 del registro ordinanze 1979, al n. 258 del registro ordinanze 1980, al n. 424 del registro ordinanze 1981 e ai nn. 327, 447 e 659 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 179 del 1978, nn. 251 e 258 del 1979, n. 152 del 1980, n. 283 del 1981 e nn. 297, 310 e 344 del 1982. Visti l'atto di costituzione della Società semplice Cestelis e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1983 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

udito l'avvocato dello Stato Carlo Salimei, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con tredici ordinanze emesse tra il 21 novembre 1977 e il 21 giugno 1982 da varie Commissioni tributarie in fattispecie di applicazione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili (INVIM) a società, per decorso del decennio, ex art. 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, vengono denunciate varie disposizioni del citato d.P.R. n. 643 del 1972, e talora l'art. 6 della legge 9 ottobre 1971, n. 825, recante "delega legislativa per la riforma tributaria", in riferimento agli artt. 3, 42, 53 e 76 della Costituzione.

La disposizione dell'art. 3 del citato d.P.R., laddove prevede che alle società "l'imposta si applica, oltre che nei casi previsti dall'articolo precedente, al compimento di ciascun decennio dalla data dell'acquisto", realizzerebbe, secondo molti dei giudici a quibus, un'ingiustificata disparità di trattamento in danno di tali soggetti, tenuti al pagamento indipendentemente da ogni circostanza obiettiva che, come l'alienazione a titolo oneroso o l'acquisto a titolo gratuito di un diritto reale sull'immobile, costituisce anche l'occasione nella quale il contribuente comunque acquisisce un bene. Invero, l'incremento di valore dell'immobile nel tempo, non trovando in tal caso riscontro in un atto di trasferimento che in concreto lo manifesti, può rivelarsi del tutto fittizio o non realizzarsi affatto in occasione di un successivo trasferimento, senza che al contribuente sia data la possibilità di ripetere quanto avesse, in ipotesi, già pagato. Si fa in proposito l'esempio dell'immobile locato in regime di proroga dei contratti e di blocco dei canoni, praticamente "fuori commercio", e tuttavia soggetto all'imposta su un incremento di valore che può non verificarsi del tutto nel futuro. In siffatta ipotesi, dunque, il prelievo fiscale finirebbe col fondarsi su un incremento di valore apparente, siccome "occasionato solo o prevalentemente dalla svalutazione monetaria" e come tale non costituente indice di effettiva capacità contributiva, sostanzialmente risolvendosi in un'espropriazione senza indennizzo.

Sulla scorta di tali argomentazioni, la Commissione tributaria di Pisa, con due ordinanze dall'identica motivazione emesse il 21 novembre 1977 (r.o. nn. 240 e 241/78) e con ordinanza emessa il 13 novembre 1978 (r.o. n. 538/79), ha denunciato gli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 643 del 1972 in riferimento agli artt. 42 e 53 Costituzione, e con altre due ordinanze emesse il 29 gennaio 1979 (r.o. nn. 535 e 536/79), gli artt. 2, 3 e 6 dello stesso d.P.R. in riferimento agli artt. 3, 42 e 53 Cost..

Analoghe considerazioni vengono svolte con tre ordinanze emesse dalla Commissione tributaria di primo grado di Imperia il 15 marzo 1979 (r.o. nn. 563,564 e 565 del 1979), con le quali viene denunciato l'art. 3 del d.P.R. n. 643 del 1972 in riferimento all'art. 53 Cost.; nonché dalle Commissioni tributarie di primo grado di Padova, Mondovì, Firenze e dalla Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara che, con ordinanze emesse il 21 febbraio 1979 (r.o. n. 258/1980), il 13 novembre 1981 (r.o. n. 447/1982), il 21 giugno 1982 (r.o. n. 659/1982) ed il 15 giugno 1981 (r.o. n. 327/1982), denunciano, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., rispettivamente l'art. 1, gli artt. 3, 6, 14 e 15, l'art. 3 e l'art. 6 del d.P.R. citato.

La Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara (r.o. n. 327/1982) rileva, in particolare, che pur dopo la sentenza n. 126 del 1979 - che ha ritenuto non fondata la questione - permangono tuttavia dubbi che impongono di sottoporre il problema ad un nuovo esame da parte della Corte. Pur ritenendo di poter convenire con quanto affermato dalla Corte circa la non sussistenza del contrasto della norma denunciata con l'art. 53 Cost. per il solo fatto che non sia previsto un integrale recupero della perdita del potere d'acquisto della moneta, ovvero un'integrale rivalutazione del valore dell'immobile in sede impositiva, la Commissione osserva tuttavia che in tempi d'inflazione dell'ordine del 20% annuo, l'imposta, grazie anche alla fortissima progressività, colpisce "pressoché esclusivamente il deprezzamento della moneta, che sicuramente non costituisce indice di ricchezza e quindi nemmeno di capacità contributiva". L'aggravamento e la cronicizzazione del fenomeno inflattivo, quale é andato sviluppandosi negli ultimi anni, avrebbero condotto la situazione ad un limite "di fronte al quale la pur amplissima discrezionalità del legislatore deve trovare un freno costituzionale".

D'altro canto, non può non considerarsi come lo stesso principio nominalistico sia ormai ampiamente eluso anche per quanto concerne i debiti di valuta (cfr. Cass., sez. un. 4 luglio 1979, n. 3776) ed oggetto di molteplici deroghe volte a porre "rimedio alle più gravi ingiustizie che la sua rigorosa applicazione comporta". Fra queste rientrerebbe sicuramente il caso dell'INVIM applicata ad un incremento di valore solo nominale, essendo invece in ipotesi il valore effettivo dell'immobile diminuito, con conseguente applicazione dell'imposta ad una perdita.

L'attuale assetto della determinazione del valore iniziale e finale agli effetti dell'INVIM confliggerebbe inoltre con il principio di cui all'art. 3 Cost. in quanto irragionevolmente discriminerebbe "i cittadini che investono i propri risparmi in beni immobili rispetto a quelli che li investono in mobili particolarmente adatti a conservare il loro valore nel tempo o, addirittura ad incrementarlo (es. preziosi e francobolli)"; e ciò non già in virtù di un'insindacabile scelta politica del legislatore, ma per mera casualità dovuta al mancato adeguamento della legislazione alle mutate condizioni economiche.

La Commissione tributaria di primo grado di Mondovì (r.o. n. 447/82) considera in particolare che l'incremento di valore, nei casi di cui all'art. 3 del d.P.R. citato, viene stabilito sulla scorta di valutazioni dipendenti da fattori che possono manifestarsi puramente temporanei e comunque soggetti ad oscillazioni di notevole entità, come nel caso "di un terreno con buon indice di edificabilità ridotto ad area verde per effetto di variazioni sopravvenute nel piano regolatore dopo il compimento del decennio", ovvero di "un immobile che per una qualsiasi causa indipendente dalla volontà dell'ente proprietario (vetustà, cataclisma, ecc.) viene distrutto o gravemente danneggiato dopo il compimento del decennio".

In definitiva, l'imposta, come applicata ex art. 3 d.P.R. citato, colpirebbe non l'incremento di valore, bensì la stessa "proprietà", alla guisa di una comune imposta patrimoniale, con l'ulteriore effetto di suddividere i contribuenti in due categorie: "quella che viene tassata al momento dell'alienazione e quella che viene tassata anche se conserva il bene oltre il decennio". Infine, i previsti correttivi non riuscirebbero ad elidere "il deleterio effetto dell'inflazione, consistente nella applicazione dell'imposta ad incrementi meramente fittizi e nominali".

Anche la Commissione tributaria di primo grado di Firenze, con ordinanza in data 21 giugno 1982 (r.o. n.659/1982), prospetta i propri dubbi di legittimità costituzionale in termini sostanzialmente identici.

2. - Diversa la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria di secondo grado di Belluno con ordinanza dell'8 ottobre 1980 (r.o. n. 424/1981), che ha denunciato l'articolo 6, penultimo comma, d.P.R. n. 643 del 1972 in riferimento all'art. 76 Cost, sotto il profilo "della violazione dei limiti di cui alla legge di delegazione" 9 ottobre 1971, n. 825.

Ad avviso del giudice a quo il penultimo comma (ma in realtà si tratta del quinto e non del settimo e penultimo comma dell'art. 6 del d.P.R. n. 643 del 1972), con l'inciso "determinato ai sensi dei commi precedenti" impone di considerare come valore iniziale, ai fini della determinazione della differenza imponibile al compimento del decennio, quello accertato al momento dell'acquisto agli effetti dell'imposta di registro. Il n. 3 dell'art. 6 della legge di delegazione n. 825 del 1971, per contro, facendo riferimento al valore degli immobili al momento dell'acquisto (anziché a quello accertato ai fini dell'imposta di registro, secondo quanto disposto dal n. 4 dello stesso art. 6 per l'imposta sui trasferimenti immobiliari) avrebbe inteso porre, per l'imposta decennale, un criterio di valutazione fondato sui valori reali, anziché su quelli fiscali, in considerazione della diversa natura e della diversa funzione economico-finanziaria delle due imposizioni nonché della "differenza fra le situazioni rispettivamente incise (una situazione patrimoniale statica ed una situazione di riscossione occasionata dal trasferimento)". Se ne trarrebbe conferma dal disposto del n. 4 dello stesso art. 6 della legge n. 825 del 1971 che, per l'imposta decennale, ha stabilito che il valore finale sia quello reale corrente alla data di compimento del decennio.

L'estensione all'imposta decennale del criterio della determinazione del valore iniziale sulla base dei valori accertati ai fini dell'imposta di registro avrebbe introdotto "un elemento di fittizia valutazione del valore iniziale, che sopprime ogni omogeneità col criterio di valore corrente, che deve essere applicato col medesimo metro monetario".

3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, é intervenuto nei giudizi relativi alle ordinanze emesse dalle Commissioni tributarie di Pisa, Imperia, Sanremo e Firenze, instando per la declaratoria di infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.

In atti d'intervento si osserva che l'art. 8 della legge 17 dicembre 1977, n. 904, ha attenuato l'incidenza dell'INVIM - talché appare necessario che gli atti vadano restituiti alla Commissione tributaria di primo grado di Pisa per quanto concerne i giudizi promossi con le due ordinanze emesse il 21 novembre 1977 (r.o. nn. 240 e 241/1978) - e che l'ammontare della detrazione, fissato nel 10% annuo a decorrere dal 1972, appare sicuramente equo in relazione agli scopi per cui é stato disposto, rinviandosi quindi, per tutto quanto attiene agli effetti della svalutazione monetaria, alle considerazioni già svolte in occasione delle pubbliche udienze del 19 novembre 1977 e del 16 maggio 1979.

In ordine alle questioni relative all'applicazione dell'INVIM ai soggetti di cui all'art. 3 del d.P.R. n. 643 del 1972 al compimento di ogni decennio dalla data dell'acquisto, si rileva che la ipotizzata disparità di trattamento é del tutto inesistente, essendo comune a tutti i casi il presupposto dell'imposta, costituito dall'incremento di valore dell'immobile nel tempo, e trovando la particolare modalità di tassazione prevista dalla norma in questione per le società c.d. "immobiliari" piena giustificazione nel fatto che esse hanno la possibilità di "realizzare od utilizzare l'incremento di valore indipendentemente dal trasferimento giuridico della proprietà o di diritti reali di godimento su beni immobili". Onde, proprio per evitare ingiustificate disparità di trattamento, il legislatore ha provveduto a svincolare la tassazione dell'incremento dalla sua normale realizzazione, in definitiva attuando "quel completamento del sistema impositivo cui provvedevano nel passato le c.d. imposte in surrogazione" dovendo in definitiva ritenersi che anche la proprietà dei beni immobili protratta per un decennio da parte delle società immobiliari costituisca una indiretta manifestazione di capacità contributiva.

4. - Nel giudizio promosso dalla Commissione tributaria di secondo grado di Belluno si é costituita la Società Cestelis che non ha peraltro svolto alcuna deduzione.

Considerato in diritto

1. - Le dieci ordinanze emesse dalle Commissioni tributarie di primo grado di Pisa (r.o. 240 e 241/1978,535,536 e 538/1979), Imperia (r.o. 563,564 e 565/1979), Mondovì (r.o. 447/1982) e Firenze (r.o. 659/1982), nonostante la varietà delle norme denunziate e dei parametri invocati, dubitano tutte della legittimità costituzionale dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili (INVIM), che, a sensi dello art. 3, 1 co., d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, si applica "al compimento di ciascun decennio dalla data dell'acquisto" "per gli immobili appartenenti a titolo di proprietà... alle società di ogni tipo e oggetto e agli enti pubblici e privati diversi dalle società, compresi i consorzi, le associazioni non riconosciute e le organizzazioni di cui all'articolo 2 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598". La stessa censura, pur non richiamandosi esplicitamente al summenzionato art. 3, formulano le due ordinanze emesse, rispettivamente dalla Commissione tributaria di primo grado di Padova (r.o. 258/1980) e di secondo grado di Ferrara (r.o. 327/1982). Stante perciò l'identità sostanziale della questione sollevata, vanno disposte la riunione di tutti i giudizi e la loro definizione con unica sentenza.

2. - Il decreto presidenziale n. 643 del 1972 ("Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili"), emanato sulla base della legge 9 ottobre 1971, n. 825 ("Delega legislativa al governo della Repubblica per la riforma tributaria"), dispone: che tutti gli immobili, da intendersi nell'ampia accezione di cui all'art. 812 c.c., se siti nel territorio dello Stato, sono soggetti ad un'imposta sull'incremento del loro valore, il cui gettito é attribuito ai Comuni territorialmente interessati (art. 1); che "l'imposta si applica all'atto", tanto "dell'alienazione a titolo oneroso", quanto "dell'acquisto a titolo gratuito, anche per causa di morte, del diritto di proprietà o di un diritto di godimento dell'immobile" (art. 2, 1 co.); che, ove gli immobili appartengano ad entità soggettive diverse dalle persone fisiche, l'imposta si applica anche "al compimento di ciascun decennio dalla data dell'acquisto" (art. 3, 1 co.); che l'incremento di valore é costituito in generale dalla differenza tra il valore che l'immobile ha alla data in cui si verificano i presupposti (alienazione, acquisto, decorso del decennio) e quello che aveva "alla data dell'acquisto ovvero della precedente tassazione" (art. 6 1 co.); che, in particolare, tale valore differenziale si determina: nell'ipotesi di alienazione o acquisto, assumendo quale valore finale quello dichiarato o accertato ai fini dell'imposta di registro o di successione, e quale valore iniziale quello analogamente dichiarato o accertato per il precedente acquisto ovvero quello venale, se al momento dell'acquisto esso é stato determinato, agli effetti della imposta di registro o di successione, secondo le leggi n. 1044 del 1954 e n. 355 del 1959 (art. 6, 2 co.); nell'ipotesi di imposta decennale, poi, valore iniziale é quello della precedente tassazione, ovvero quello determinato come sopra, e valore finale é quello venale al compimento del decennio (art. 6, 5 co.).

Più in particolare ancora é prescritto: che "per i trasferimenti assoggettati all'imposta sul valore aggiunto si assumono quale valore finale o iniziale i corrispettivi determinati ai fini di detta imposta" (art. 6 cit., 2 co.); che "il valore iniziale del bene é maggiorato delle spese di acquisto, di costruzione ed incrementative" (art. 11, 1 co.); che "l'imposta si applica per scaglioni di incremento imponibile", determinati in relazione al numero degli anni, e "con le aliquote stabilite dai Comuni" entro limiti rigorosamente fissati dallo stesso legislatore delegato (art. 15). Giova infine aggiungere, dando così una certa compiutezza alla pur sintetica esposizione della disciplina nei suoi tratti essenziali, che sono previsti, oltre che il rimborso della imposta per "le somme indebitamente percette" (art. 29, 4 co.), anche numerose esenzioni, tra cui quelle per gli immobili appartenenti allo Stato o agli enti territoriali minori ovvero destinati allo svolgimento delle attività istituzionali dei partiti, dei sindacati, delle società di mutuo soccorso o all'esercizio del culto, nonché per i fabbricati dati in locazione dalle "società che esercitano esclusivamente attività di locazione finanziaria", ed alcune esenzioni, tra cui quelle per i terreni o fabbricati destinati ad esercizio di attività agricole o forestali, purché esercitate direttamente per gli "immobili non destinati all'esercizio delle attività istituzionali, appartenenti agli enti che gestiscono forme di previdenza ed assistenza sociale, etc." (art. 25).

3. - L'imposta in parola, che é succeduta a quella sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili (IVAF), di cui alla legge 5 marzo 1963, n. 246 - la quale a sua volta aveva sostituito il contributo di miglioria istituito col testo unico per la finanza locale (r.d. 14 settembre 1931, n. 1175) - é stata oggetto, non solo di successivi aggiustamenti ad opera del legislatore, e precisamente nel 1974 (d.P.R. n. 688),1975 (legge n. 694),1977 (legge n. 904), 1979 (d.l. n. 571, convertito nella legge 12 gennaio 1980, n. 2) e, da ultimo, nel 1982 (d.P.R. n. 953, convertito nella legge 28 febbraio 1983, n. 53), ma anche di varie pronunce di questa Corte, tra cui le sentenze nn. 8 del 1978,126 del 1979 e 121 del 1982, oltre le ordinanze nn. 9 e 67 del 1978, 39 e 148 del 1980, 60 del 1981, 8 del 1983 (di restituzione ai giudici a quibus) e 27 del 1983 (di manifesta inammissibilità). Con le sentenze nn. 8 del 1978 e 121 del 1982 é stata dichiarata la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, sotto il profilo dell'eccesso rispetto alla legge di delegazione in ordine agli artt 2, 1 co., 7 e 15 lettera e), del d.P.R. n. 643 del 1972 e, in riferimento agli artt. 53 e 3 Cost., in ordine all'art. 18, 4 co., dello stesso decreto presidenziale, il quale dispone che le spese incrementative, da computarsi ai fini del calcolo del valore iniziale del bene, se non già esposte nella dichiarazione, "debbono, a pena di decadenza, essere denunciate all'ufficio al momento della registrazione dell'atto".

Con la sentenza n. 126 del 1979, infine, giudicando sulla legittimità costituzionale degli articoli 2, 4, 6, 7, 14, 15 e 16 del decreto presidenziale n. 643 del 1972 e dell'art. 8 della legge n. 904 del 1977, denunziati in riferimento agli artt. 3, 42, 47 e 53 Cost., la Corte, premesso: che gli incrementi di valore sono dovuti, non già alle iniziative dei privati, ma "all'insieme dei lavori e servizi pubblici eseguiti a spese dello Stato e degli enti locali"; che l'imposta ha pertanto una "giustificazione fondamentale"; che l'incremento dei valori immobiliari "di per sé costituisce sicuro indice di capacità contributiva"; che, conseguentemente, é legittima "l'imposizione diretta a colpire gli effettivi incrementi di valore degli immobili", ha rigettato la censura formulata in riferimento all'art. 53 Cost., affermando in primo luogo che deve ritenersi" non sindacabile in questa sede la disciplina normativa dei presupposti e dei criteri di applicazione del tributo, in relazione agli effetti della svalutazione della moneta", giacché si tratta di "scelte politiche", salvo che gli eventuali effetti distorsivi imputabili alla svalutazione "non comportino la violazione di qualche principio costituzionale, ovvero non determinino un sicuro travalicamento del normale ambito di discrezionalità che la Costituzione riserva alle scelte del legislatore ordinario". Ha tuttavia ritenuto la questione "fondata sotto il secondo e diverso profilo della violazione del principio di eguaglianza", e quindi, illegittimi gli artt. 14 d.P.R. n. 643 del 1972 ed 8 l. n. 904 del 1977, con la motivazione che le detrazioni dall'incremento di valore, introdotte per correggere o ridurre gli effetti della svalutazione monetaria, si risolvono in un "meccanismo di liquidazione dell'imposta", il quale, "per effetto della progressività delle aliquote", "comporta in concreto un trattamento differenziato e palesemente discriminatorio", nel senso che l'onere tributario risulta "notevolmente più gravoso per chi aliena dopo un più lungo periodo di possesso". Ha infine negato che si configuri disparità di trattamento anche in danno dei proprietari di aree fabbricabili, apparendo ineccepibile la liquidazione separata delle aree rispetto a quella dei fabbricati, nonché fra i contribuenti di diversi Comuni, dato che questi devono pur sempre, nel deliberare la misura delle aliquote, attenersi ai limiti fissati dalla legge.

4. - Le ordinanze in epigrafe denunciano gli artt. 1 (Padova: r.o. 258/1980); 2 (Pisa: r.o. 240, 241/1978, 535, 536 e 538/1979); 3 (Pisa: ordinanze cit.; Imperia: r.o. 563,564 e 565/1979; Mondovì: r.o. 447/1982 e Firenze: r.o. 659/1982); 6 (Pisa: r.o. 535 e 536/1979; Padova e Mondovì: ordinanze cit. e Ferrara: r.o. 327/1982). Risultano altresì denunciati, ma senza la menoma motivazione, gli artt. 14 (Padova e Mondovì: ordinanze cit.) e 15 (Mondovì: ordinanza cit.).

Senonché a parte l'art. 1, che contiene solo la regola generale dell'assoggettamento dell'incremento di valore degli immobili "ad imposta" e dell'attribuzione del relativo gettito ai Comuni, si deve rilevare che l'art. 2, menzionato del resto solo come tertium comparationis, riguarda le alienazioni a titolo oneroso e gli acquisti a titolo gratuito, mentre nelle indicate ordinanze é in discussione l'INVIM decennale; inoltre, l'art. 14 é stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 126 in data 8 novembre 1979 e soppresso con l'art. 1 del decreto legge n. 571 del 12 novembre 1979, e l'art. 15, infine, é stato radicalmente novato con l'art. 2 dello stesso decreto legge, anteriore all'ordinanza (Mondovì: r.o. 447/1982) che immotivatamente ha denunciato il suddetto art. 15. Ne consegue che nel presente giudizio oggetto di esame della Corte sono gli artt. 3, in relazione agli artt. 1 e 2, e 6 del d.P.R. n. 643 del 1972, di cui l'uno concerne, secondo quanto già si é visto, l'imposta decennale, l'altro più propriamente la determinazione dell'imponibile.

5. - La sentenza n. 126 del 1979 di questa Corte é stata pronunciata, come risulta dalla premessa rievocazione dei precedenti, con riguardo specifico all'applicazione dell'imposta nei casi di alienazione a titolo oneroso o di acquisto a titolo gratuito (art. 2 d.P.R. cit.), ed al perento meccanismo delle detrazioni (artt. 14 stesso d.P.R. ed 8 legge n. 904 del 1977). Nel presente giudizio, viceversa, é in discussione l'applicazione della medesima imposta per il semplice decorso del decennio, cioé l'ipotesi prevista dall'art. 3 del decreto delegato in discorso, dalla quale traggono origine anche le contestazioni di cui alle cinque ordinanze, che nei dispositivi denunziano l'art. 6, o isolatamente (Ferrara), o congiuntamente agli artt. 2 e 3 (Pisa: 535 e 536/1979), 1 e 14 (Padova), 3, 14 e 15 (Mondovì). Ma se nuovo e diverso é il thema decidendum, rimangono invariati gli argomenti a sostegno dell'asserita illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 53 Cost., dell'applicazione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili per decorso del decennio.

6. - La Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara, la cui ordinanza risulta di particolare elaboratezza, dopo avere affermato che indici di capacità contributiva, a sensi dell'art. 53 Cost., sono le manifestazioni di ricchezza, osserva che, aggirandosi l'inflazione intorno al 20% annuo, l'imposta in parola colpisce "pressoché esclusivamente il deprezzamento della moneta, il quale sicuramente non costituisce indice di ricchezza e quindi di capacità contributiva". "Secondo l'attuale meccanismo" - prosegue lo stesso giudice a quo - si sarebbe giunti ormai ad un'ipotesi veramente limite, "di fronte alla quale la pur amplissima discrezionalità del legislatore deve trovare un freno costituzionale"; l'incremento di valore, infatti, non solo "é costituito quasi per intero da svalutazione monetaria, ma talora può anche non esistere", come nel caso in cui sia aumentato il valore nominale dell'immobile, ma diminuito quello reale, con conseguente applicazione dell'imposta ad una perdita. Del resto - si legge ancora nell'ordinanza -, per un verso la stessa Corte costituzionale ha affermato (sent. n. 126 del 1979) che compete proprio al legislatore "tenere conto degli effetti conseguenti a processi inflattivi", e per altro verso le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno recentemente (sent. 4 luglio 1979, n. 3776) posto in discussione il principio nominalistico della moneta "mediante la rivalutazione delle somme dedotte in obbligazione, e ciò anche per i debiti di valuta".

Analogamente argomentano le altre ordinanze, le quali lamentano anch'esse: che l'imposta colpisce il "puro e semplice possesso, indipendente da qualsiasi negozio giuridico" e, quindi, non l'incremento di valore, ma il valore stesso del bene; che, in tempi di "fortissima svalutazione", non esisterebbe "l'asserito maggior valore"; che di fatto la tassazione decennale si risolverebbe in una vera e propria imposta patrimoniale, giacché "colpisce la proprietà ininterrotta di beni immobili (fabbricati)), prescindendo in via assoluta dal concetto di capacità contributiva, che presuppone, necessariamente, un criterio di reddito e cioè una manifestazione diretta od indiretta di ricchezza". In particolare si imputa altresì al legislatore di non attribuire "rilevanza al decadimento degli immobili per vetustà e per l'uso" e di non tener conto, sia della concreta incommerciabilità" di un immobile con fitto bloccato, sia dell'eventualità che, successivamente al compimento del decennio, "un terreno con buon indice di edificabilità possa essere "ridotto ad area verde per effetto di variazione del piano regolatore" ed un immobile possa, in conseguenza di un cataclisma, venire addirittura "distrutto o gravemente danneggiato", senza che sia previsto "il diritto ad alcun rimborso o detrazione".

7. - La questione é infondata.

Gli argomenti addotti a dimostrazione dell'illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 53 Cost., dell'applicazione dell'imposta all'incremento di valore per decorso del decennio non sono, né nuovi, né diversi rispetto a quelli a suo tempo esposti avverso l'applicazione della stessa imposta all'incremento di valore in conseguenza del trasferimento degli immobili. E pertanto valgono nei confronti dell'art. 3 d.P.R. n. 643 del 1972 gli stessi motivi, in base ai quali questa Corte, con la sentenza n. 126 del 1979, dichiarò infondata la questione sollevata in ordine all'art. 2, sempre per asserito contrasto con l'art. 53 Cost. La Corte ebbe allora ad affermare - ed ora ribadisce - che non é dubitabile la giustificazione fondamentale dell'imposta in oggetto. Questa é stata istituita, come già si é rilevato, allo scopo di colpire gli incrementi di valore che di regola derivano ai beni immobili anche indipendentemente da alcuna iniziativa dei proprietari. Trattandosi perciò, secondo quanto é stato chiarito nella predetta sentenza, di imposta sugli incrementi di valore, e non sui trasferimenti, la "giustificazione fondamentale", ravvisata a riguardo dell'INVIM su questi ultimi, cioè dell'art. 2, conserva validità anche a riguardo dell'INVIM decennale, cioè dell'impugnato art. 3.

E per quanto concerne in particolare la denunzia della dubbia legittimità costituzionale della determinazione dell'imponibile - vale a dire, dell'art. 6 -,prospettata in relazione alla crescente svalutazione monetaria, deve ritenersi ininfluente e, prima ancora, non pertinente la sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione, cui fa appello la Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara, risultando essa pronunciata in tema di risarcimento. Giova, viceversa, richiamarsi ancora una volta alla sentenza di questa Corte n. 126/1979, la quale in proposito ha statuito "che la presenza del fattore inflattivo" di per sé, né costituisce "ostacolo alla applicazione d'una imposta sul plusvalore degli immobili", né impone al legislatore di "depurare gli incrementi di valore imponibile della componente imputabile alla svalutazione della moneta, mediante formule di indicizzazione o di integrale rivalutazione, in contrasto con i principi cui si ispira, non solo il vigente sistema tributario, ma l'intero regime delle obbligazioni pecuniarie, corrispondente alle esigenze di una economia sviluppata, in cui la moneta é indispensabile misura dei valori di mercato".

8. - Non costituiscono poi autonoma censura gli ulteriori argomenti contenuti in tutte le ordinanze in epigrafe, eccettuate quelle di Ferrara e di Firenze. Ivi vengono prospettate talune eventualità, quali: la perdita dell'immobile per cataclisma o del terreno per destinazione a verde pubblico successivamente alla riscossione dell'imposta per decorso del decennio; il regime vincolistico cui l'immobile sia assoggettato o il suo degrado per vetustà; la destinazione degli immobili, da parte della società proprietaria, ad abitazione del personale dipendente. In quanto a quest'ultimo argomento, non può certo dirsi che la suddetta destinazione faccia venir meno l'incremento degli immobili; in quanto agli altri, pur se si tratti di mere ipotesi, e perciò prive di alcuna rilevanza nei giudizi a quibus, appare utile osservare che, poiché fattispecie di rimborso per somme indebitamente percette sono espressamente previste (artt. 29, quarto comma, e 21, secondo comma), e non é, viceversa, previsto alcun divieto di tener conto delle altre eventualità di cui sopra, spetta agli uffici ed ai giudici tributari di valutare se ed in che misura debbano essere considerate le suddette eventualità, ove si verifichino.

9. - La Commissione tributaria di Pisa ritiene altresì - e formula al riguardo espressa censura in tutte le cinque ordinanze da essa emesse - che, colpendo l'imposta il valore del bene, non già il suo incremento, si concreterebbe "praticamente un arbitrario (anche se parziale) esproprio, oltretutto senza alcuna indennità: ciò che contrasta con la Costituzione che all'art. 42 lo ha previsto, ma con indennizzo e per cause di pubblica utilità".

La censura non ha fondamento: a ben guardare, essa si risolve nella denunzia di un'illegittimità conseguenziale, nel senso che si sostiene sull'asserita illegittimità dell'imposta per violazione dell'art. 53 Cost. Ma poiché questa violazione é stata esclusa, deve coerentemente escludersi anche la violazione dell'art. 42 Cost.

10. - Deve dichiararsi parimenti infondata la questione di legittimità dell'imposta per decorso decennio, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. Si afferma da alcuni giudici a quibus che l'art. 3 della legge istitutiva dell'INVIM, escludendo dall'imposta decennale gli immobili appartenenti a persone fisiche, darebbe "luogo ad un diverso trattamento tributario fra contribuenti proprietari di immobili" (Firenze: r.o. 659/1982), nel senso che stabilirebbe "due categorie di contribuenti" (Pisa: r.o. 535,536/1979 e Mondovì: r.o. 447/1982), "alcuni tenuti al pagamento di una tassa là dove altri, a perfetta eguaglianza di condizioni obiettive, non lo sono" (Pisa: ord. cit.) e discriminerebbe, "senza che si rinvenga idonea ragione..., i cittadini che investono i propri risparmi in beni immobili rispetto a quelli che li investono in mobili particolarmente adatti a conservare il loro valore nel tempo o, addirittura, ad incrementarlo", quali i "preziosi o i francobolli", e "proprio allo scopo di sottrarre i risparmi al fenomeno inflattivo" (Ferrara: r.o. 327/1982).

L'asserita disparità di trattamento non sussiste. Premesso in linea generale che una disciplina differenziata per persone fisiche e per entità soggettive diverse da queste, stante la loro eterogeneità, non presta il fianco a rilievi sotto il profilo della ragionevolezza, é bastevole ricordare nuovamente che il tributo in parola "non é configurabile come imposta sui trasferimenti, bensì come imposta sugli incrementi di valore" (sentenza n. 126/1979), per negare che si profili una trasgressione del principio d'eguaglianza in danno delle entità soggettive di cui all'art. 3 d.P.R. 643/1972. Anzi, se si tiene presente che a queste ultime non si addice l'ipotesi di successione mortis causa, mentre le persone fisiche vengono assoggettate all'imposta in oggetto anche in caso di acquisto a titolo gratuito - oltre che in caso di alienazione a titolo oneroso -, non può non riconoscersi che proprio la periodicità dell'imposta evita che si verifichi la disparità di trattamento a svantaggio delle persone fisiche, rivelando così anche la sua finalità perequativa. Né costituiscono argomento in contrario i casi di investimenti in beni mobili particolarmente idonei a sfuggire all'imposta, nonostante il loro incremento di valore. Sembrano evidenti, infatti, le ragioni che impediscono il raffronto di tali beni con gli immobili: basterà considerare che il loro incremento di valore, peraltro eventuale, non dipende certo dall'esecuzione di opere pubbliche o dall'istituzione di servizi pubblici. E va da ultimo ricordato, con riguardo alla censura di cui all'ordinanza emessa dalla Commissione tributaria di Mondovì, che il legislatore non ha mancato di prevedere, come più sopra é stato appositamente posto in evidenza nell'esposizione della normativa in discorso, esenzioni e riduzioni, di cui i giudici tributari non mancheranno di tener conto, ove ne ricorrano gli estremi.

11. - Deve dichiararsi infondata, da ultimo, anche la questione sollevata dalla Commissione tributaria di secondo grado di Belluno (r.o. 424/1981), la quale denuncia il vizio di eccesso di delega, lamentando che l'art. 6, penultimo comma, della legge delegata n. 643 del 1972 contrasterebbe con l'art. 6, nn. 3 e 4, della legge di delegazione n. 825 del 1971 e, quindi, violerebbe l'art. 76 Cost.

Ai fini della determinazione del valore iniziale per le possidenze societarie decennali - così il giudice a quo -, mentre la legge di delegazione statuisce semplicemente che tale valore équello "alla data dell'acquisto per atto tra vivi o per causa di morte", la legge delegata, viceversa, inserendo l'inciso che il valore in discorso "é determinato ai sensi dei commi precedenti", avrebbe "arbitrariamente esteso all'imposta decennale il criterio dell'accertamento fiscale ai fini dell'imposta iniziale di registro".

La censura non ha fondamento. Va al riguardo osservato che il legislatore delegato ha inteso stabilire, con l'inciso di cui sopra, il criterio di determinazione concreta del valore iniziale. Ma in tal modo, esso ha attuato, non già vulnerato la legge di delegazione, essendo il valore accertato ai fini dell'imposta di registro esattamente quello venale, che ne costituisce la base imponibile, secondo quanto risulta inequivocamente dal combinato disposto degli artt. 41, n. 1, 48 e 49 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, recante "disciplina dell'imposta di registro". Appare pertanto insussistente l'addotta violazione dell'art. 76 Cost.

L'ordinanza lamenta altresì che dall'applicazione del "valore fiscale accertato ai fini dell'imposta di registro o di successione", per determinare, anche in ordine all'imposta decennale, il valore iniziale, deriverebbero "differenti criteri di valutazione (valori reali per l'imposta decennale, valori fiscali per quella sui trasferimenti)", in quanto non verrebbe tenuto conto della "differenza fra le situazioni rispettivamente incise (una situazione patrimoniale statica ed una situazione di riscossione occasionata da un trasferimento)". Senonché, si é appena osservato che tale differenza nei criteri di valutazione non ricorre. A parte ciò, giova chiarire che la disposizione impugnata vale, per un verso, ad evitare discrasie nella valutazione dello stesso bene - apparendo del tutto inammissibile che il valore venale possa essere, ai fini dell'INVIM, diverso da quello già determinato in sede di imposta di registro - e, per altro verso, a rendere omogenea l'applicazione del tributo nelle varie ipotesi, dato che la base imponibile é costituita in ogni caso dall'incremento di valore di un immobile in un determinato periodo di tempo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. dalle Commissioni tributarie di primo grado di Padova (r.o. 258/1980) e Mondovì (r.o. 447/1982);

b) dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.15 del d.P.R. n. 643 del 1972, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. dalla Commissione tributaria di primo grado di Mondovì (r.o. 447/1982);

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2,3 e 6 del d.P.R. n. 643 del 1972, sollevata in riferimento agli artt. 3,42 e 53 Cost. dalle Commissioni tributarie di primo grado di Pisa (r.o. 240 e 241/1978, 535, 536 e 538/1979), di Imperia (r.o. 563,564 e 565/1979), di Padova (r.o. 258/1980), di Mondovì (r.o. 447/1982), di Firenze (r.o. 659/1982) e dalla Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara (r.o. 327/1982);

d) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 d.P.R. n. 643 del 1972 in relazione all'art. 6 legge 9 ottobre 1971, n. 825, sollevata in riferimento all'art. 76 Cost., dalla Commissione tributaria di secondo grado di Belluno (r.o. 424/1981).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO -  Antonino DE STEFANO-  Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI -  Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 15 luglio 1983.